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Qualche riflessione sul Catanzaro fra Tacito e Machiavelli

Archiviata la stagione 2024/25 e consumata anche l’ultima appendice con l’addio di Caserta, è tempo di bilanci. Credo sia giusto, in questi momenti, guardare innanzitutto ai dati oggettivi, affinché ogni considerazione non sia viziata dall’emotività o da aspetti troppo soggettivi. È insomma opportuno cercare di fare quello che dichiarava Tacito, il più grande storico latino, che, accingendosi a iniziare gli Annales, ovvero la sua più importante opera storiografica, affermava di voler parlare «sine ira e studio», cioè senza rancore e senza passione e quindi in modo imparziale.

I fatti, dunque: anche quest’anno il Catanzaro è arrivato nelle primissime posizioni, approdando per la seconda volta di fila alle semifinali play off. Nessuno potrebbe sostenere che si tratti di un cattivo risultato; al contrario e con tutta evidenza è un traguardo importante che proietta questa squadra e questa società nell’Olimpo della serie cadetta. La gestione è stata ancora una volta di alto livello e questo vale sia per l’aspetto logistico-economico che per quello strettamente tecnico. Significa, cioè, che l’onore di questo straordinario risultato è sia della famiglia Noto e dei suoi più stretti collaboratori sia di Caserta e della squadra.

Stabilito questo, si può passare al resto: oggi Fabio Caserta non è più l’allenatore del Catanzaro. I motivi non sono stati formalmente spiegati, anche se voci insistenti parlano di un mancato accordo fra le parti (pare che l’allenatore chiedesse un prolungamento e che la società fosse disposta solo a un adeguamento economico). In realtà nel comunicato ufficiale si lasciano notare parole che non sembrano di semplice circostanza e che tradiscono anzi l’intenzione della società di presentare la questione in una luce piuttosto positiva, esprimendo sincera riconoscenza verso l’allenatore uscente. Le consuete formule di rito, quelle standard che si usano sempre, sono state infatti integrate con dei passaggi per nulla scontati in cui si ringrazia Caserta «per la professionalità, la dedizione e l’impegno dimostrati» e si parla di «stagione appena conclusa che ha visto la squadra protagonista di un percorso importante e ricco di emozioni». Per misurare la sincerità di questi passaggi, basta confrontare questo comunicato con quello dell’anno scorso riservato a Vincenzo Vivarini: freddissimo e del tutto privo di ringraziamenti e considerazioni sui risultati, che pure erano stati straordinari.

Insomma, i dati di fatto a disposizione fanno pensare che, comunque siano andate le cose, il rapporto non sia finito male, ma che le strade si siano separate di comune accordo per ragioni che forse poggiano su convenienze reciproche.

Al di là di ogni dietrologia, che lascia sempre il tempo che trova, sulla questione si possono comunque fare alcune osservazioni, che per chiarezza vengono di seguito esposte per punti.

  1. Caserta ha fatto ben più del suo lavoro: gli era stata chiesta una salvezza tranquilla e lui ci ha portato in semifinale play off.
  2. Questo allenatore ha dovuto lavorare in condizioni difficili, assediato fin dall’inizio dallo scetticismo e persino dal risentimento preventivo di una piazza che non gli perdonava i trascorsi cosentini. Questo ha reso ancora più complicata la prima parte della stagione, quando, alle difficoltà fisiologiche di una obbligata rivoluzione societaria oltre che tecnica, si è sommata l’insofferenza di tanti tifosi ancora nostalgici dell’era precedente. In pratica a problemi si sono aggiunti problemi e non certo per demerito di Caserta, ma per l’immatura impazienza di un ambiente ancora piuttosto provinciale, che concepisce il calcio in modo talvolta un po’ arcaico.
  3. Si deve cercare un colpevole per questo nuovo divorzio? Non necessariamente e per capirlo basta pensare al precedente di Vivarini: quest’ultimo si comportò in modo scorretto e ben poco professionale (quello sì era un colpevole), abbandonando all’improvviso dopo un accordo già fatto. Lo stesso non si può dire di Caserta, con il quale semplicemente non si è trovata l’intesa fra parti che miravano ciascuna al proprio legittimo interesse. Non è un fulmine a ciel sereno, ma un mancato accordo peraltro già nell’aria alla fine della stagione. Non condivido quindi il parere dei tanti che oggi gettano ancora una volta la croce su Caserta e non per Caserta in sé (che comunque mi è sempre sembrato una brava persona), ma per la dinamica dei fatti, che appare molto diversa da quella dell’anno scorso.
  4. L’addio di Caserta è un problema? Non sembra: questa volta la società non è stata colta di sorpresa e può porre rimedio tempestivamente senza che nulla sia compromesso; inoltre, visto che in tanti hanno mostrato e ancora oggi mostrano di non gradire Caserta, la circostanza dovrebbe essere accolta con favore invece che come nuova occasione di contestazione. Catanzaro è dunque una miniera di contraddizioni: a) dopo poche giornate di campionato si voleva cacciar via l’allenatore giudicato incapace; b) a metà stagione, lo si celebrava per aver infilato una serie di vittorie di prestigio e per l’approdo alla semifinale dei play off; c) a fine maggio ci si lamentava all’idea di un secondo anno con lui alla guida; d) infine all’inizio di giugno lo si critica per aver deciso di rescindere il contratto e andar via.
  5. Facciamoci una domanda: sapendo di non essere gradito dalla piazza, con l’altissima probabilità di essere crocifisso alla prima sconfitta e probabilmente avendo in tasca qualche offerta allettante magari in un ambiente in cui sia ben più apprezzato (Juve Stabia?), al suo posto che cosa faremmo noi? Ancora una volta, persino su questo, il caso Vivarini risulta del tutto diverso e ogni paragone è improprio: a differenza di Caserta, Vivarini era osannato e incensato da una piazza adorante che lo considerava una sorta di semidio in terra giallorossa. Quello fu un tradimento, questo non sembra possa essere classificato così: per tradire, bisogna che ci sia chi si fida di te e ti ama, mentre se si scappa da chi ci odia e non si fida affatto, sembra piuttosto legittima difesa…
  6. Che ormai i contratti non servano più a niente non dipende da Caserta: è un fatto molto spiacevole di carattere generale, che andrebbe affrontato nelle sedi opportune insieme a tutti gli altri enormi problemi che il calcio italiano continua a non risolvere, avvitandosi in una spirale di tragica decadenza, dalle società di club alla nazionale. Il problema è, cioè, di sistema: Caserta e il Catanzaro sono solo piccolissimi ingranaggi che girano in modo coerente con quella che è una macchina infinitamente più grande e complessa, che avrebbe bisogno di essere aggiustata e rinnovata in modo radicale. Senza un cambio di sistema, non aspettiamoci niente di diverso da nessuno: il calcio è ormai solo un business che muove una montagna gigantesca di denaro e interessi vari. Appartenenza, deontologia, strette di mano fra uomini perbene ecc. sono cose del tutto anacronistiche e non perché non abbiano valore in sé, ma solo perché senza alcuna possibilità di applicazione pratica nel contesto moderno. E qui vale forse la pena ritornare a Machiavelli, che nel Principe, invitando gli uomini di potere a usare ogni mezzo necessario ‒ come ad esempio mancare alla parola data e agli impregni presi ‒ per realizzare i loro obiettivi, precisava: «se gli uomini fossero tutti buoni, questo mio precetto non sarebbe buono, ma siccome sono cattivi ed essi per primi non terrebbero fede alle loro promesse, anche tu devi fare così se non vuoi soccombere».
  7. I tifosi dovrebbero essere preoccupati per qualcosa? Anche questo non sembra vero: la società ha già dato numerose prove di capacità gestionale e organizzativa, risolvendo problemi ben più gravi e mostra di avere le idee chiare anche per il futuro. Non pare davvero che ci siano ragioni di preoccupazione particolari per la prossima stagione, di qualunque tipo siano le scelte che verranno fatte riguardo all’allenatore.

A me pare che Tacito avesse proprio ragione: per capire e spiegare situazioni complesse bisogna analizzare i fatti in modo distaccato e imparziale. Applicando il suo metodo al Catanzaro, credo che si debba concludere che i tifosi giallorossi possono guardare al futuro con serenità e senza quell’animosità che attualmente affiora senza motivo a sciupare gli ottimi risultati stagionali. Anzi, si può persino ipotizzare che questa vicenda abbia due facce: una più evidente, cioè l’interesse di Caserta ad andarsene, e l’altra ancora in ombra, ovvero l’interesse uguale e contrario della società guidata dalla famiglia Noto a un salto di qualità che preveda un progetto più ambizioso di quello che si sarebbe potuto realizzare con Caserta in panchina. Se fosse così, non sarebbe entusiasmante?

Palomar

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